Parthenope di Paolo Sorrentino
L'ultimo capitolo della mitologia sorrentiniana su Napoli è appena uscito su Netflix e nonostante il successo al botteghino per molti è stato una piccola delusione.
Parthenope di Paolo Sorrentino dal 6 Febbraio è approdato su Netflix e dal giorno seguente è uscito nei cinema americani con un leggero riadattamento del trailer in versione più american-style.
Sul piccolo schermo l’incantesimo estetico di Sorrentino non sarà godibile come sul grande schermo ma si deve ammettere che se pure il film non dovesse piacervi, uno dei talenti ineccepibili di Paolo Sorrentino è proprio la scrittura visiva che merita sempre il grande schermo per un’esperienza immersiva totalizzante .
Il debutto nelle sale italiane è avvenuto con un’edizione speciale di anteprime autunnali di mezzanotte in varie città che hanno registrato sempre il sold-out in sala. Il successo è evidente soprattutto dagli ultimi dati Cinetel che segnano 7,6 milioni di incasso al botteghino, facendo di Parthenope il film di Sorrentino, in assoluto, più visto in sala.
La produzione ha scelto per il mercato americano un trailer maggiormente in linea con reference più pop rispetto ai gusti dello spettatore italiano, nel quale spicca la figura di Celeste Della Porta come divina e contemporanea venere botticelliana e quella di Gary Oldman, assente invece la colonna sonora di Riccardo Cocciante con Era già tutto previsto e i protagonisti italiani della pellicola.
Parthenope è la cartolina definitiva di Sorrentino su Napoli e il suo ideale di bellezza. Si apre su uno degli archetipi napoletani per eccellenza: l'armatore, il "cummenda" di Rosiniana memoria, l'uomo del monte che dalla lussuosa e incantevole Posillipo governa il mondo immerso nel bagliore della sua bellezza illusoria.
Prima nota di merito: le location di Sorrentino sono sempre una rivelazione superlativa.
Chi è Parthenope questa giovane ragazza di cui non conosciamo l'infanzia? Sappiamo solo che è nata in mare da una madre (Silvia Degrandi) che è di fatto una terra straniera, e rimane nel film una mannequin.
Celeste Dalla Porta la scoperta di Paolo Sorrentino, milanese d'origine eppure quasi madrelingua napoletana, è Napoli nella sua maliziosa sensualità, seducente e sfuggente, incestuosa e falsamente ingenua, la telecamera la insegue con l'intento di afferrare il divismo che è in lei, ma non c'è nessuna diva.
Sorrentino è ritornato alle sorrentinate, dopo La mano di Dio, film quasi perfetto, qui si eccede con il macchiettismo, ogni personaggio è un fenomeno circense, eccetto il Professor Marotta interpretato da un'ineffabile e misurato Silvio Orlando.
Nella famiglia ritratta dal regista, c'è l'aristocrazia borghese e decadente della Napoli bene, che vive su una terrazza invidiabile sul mare come sul Titanic della vita, la tragedia incombe, Raimondo è il suo mal di vivere sono il mare di nostalgia nel quale affogare fino a sparire.
Raimondo, Parthenope e Sandrino sono i The Dreamers di Sorrentino, il triangolo dove si consuma un palpabile eros incestuoso e un eterno desiderio sospeso, il '68 a Capri e la vertigine di un tempo di feroce bellezza in cui tutto sembra possibile, anche sfidare il destino.
La trama di Parthenope non c'è, è un susseguirsi di cartoline e personaggi, fuori da Posillipo c'è la Spaccanapoli degli anni '70, il presepe di Napoli, dove il santo è un giovane boss che elargisce elemosina, mentre due grandi famiglie di camorra in una notte di capodanno, celebrano la loro unione, assistendo all'amplesso spettacolarizzato, violato e imposto, fra due dei propri figli. Il miracolo della natività è sopruso in mezzo ai bassi pieni di vita e miseria del centro storico.
C'è San Gennaro e un vescovo, Peppe Lanzetta, che non si risparmia peccati e vanità, pur celebrando il sacro miracolo del sangue che non si scioglie ma genera una collettiva isteria di popolo. il miracolo c'è, c'è sempre pure quando non si vede.
E che dire del cameo di Luisa Ranieri nel ruolo di Greta Cool, travestita da una Sofia Loren dei poveri emigrata al nord, che torna omaggiata come una diva, e invece schiocca una frustata di lava incandescente al suo pubblico napoletano in un breve monologo caustico e pregno del fantasma di Jep Gambardella: «Camminate a braccetto con l’orrore e non lo sapete. Siete solo trasandati e folcloristici».
C'è tutto in Parthenope, c'è la megalomania partenopea, la bellezza abbagliante e indiscutibile, il falso e il vero in un'accozzaglia di sentimenti malmostosa che lascia addosso una tristezza stanca. La sceneggiatura è un susseguirsi di aforismi, non c'è mai una pausa, un dialogo che non sia un "non ti disunire" progressivo. Non ce la si fa a tenere insieme tutte le parole di una storia, come direbbe Samuele Bersani, la ricerca febbrile di un'apice emotivo che ferma l'attimo, si suicida un secondo dopo per via della stessa ricerca febbrile di un altro personaggio.
Si placa solo sulla chiosa con una Stefania Sandrelli che lascia, finalmente, respiro e spazio alla scena.
Questo film è un capitolo di mitologia sorrentiniana.